In Italia le mamme non lavorano: i dati e le ingiustizie di genere

Pubblicato da Redazione

In Italia sempre meno donne e mamme lavorano: spesso sono costrette a dare le dimissioni non riuscendo a gestire gli impegni familiari

Cosa fai nella vita? La mamma. E’ questa la risposta che le donne spesso devono dare, costrette o per scelta, a chi chiede loro che genere di occupazione abbiano. La mamma, è sicuramente il lavoro più difficile, il mestiere del genitore non ce lo insegna nessuno. Ma essere donna, mamma e lavoratrice, soprattutto in Italia, sembra essere ancora oggi nel 2022, una mission impossibile. E chi riesce a destreggiarsi tra carriera, figli e vita privata, viene considerata una sorta di wonder woman. I dati che arrivano nel mese di maggio, continuano a far riflettere su quella che è oggi, la condizione della donna in Italia, e della donna in quanto anche mamma. Il 42,6% delle mamme tra i 25 e i 54 anni non è occupata e il 39,2% con due o più figli minori è in contratto part-time.

 Solo poco più di un contratto a tempo indeterminato su 10 attivato è a favore delle donne nel primo semestre 2021. Nel solo 2020 sono state più di 30mila le donne con figli che hanno rassegnato le dimissioni. Inutile dire che gli ultimi due anni e mezzo caratterizzati dalla pandemia non hanno facilitato le cose, anzi. Il lockdown ha spesso imposto la presenza di una donna in famiglia, per gestire i figli in casa con la DAD. E per molte mamme lavoratrici, questo ha significato anche dover rinunciare al proprio lavoro.

Per il settimo anno consecutivo,  Save The Children  diffonde il rapporto “Le Equilibriste – La maternità in Italia 2022” con i valori delle regioni italiane dove essere madri è più o meno semplice, con il Nord in cima e il Sud, seppure in basso nella classifica, ma in ripresa nei servizi alla prima infanzia. A pochi giorni dalla festa della mamma, ci si ferma anche a riflettere su quanto sia difficile per le donne in Italia, avere dei figli e una occupazione. Chi cerca un lavoro, in quanto donna e in quanto persona che sogna una famiglia lo sa bene, visto che ancora oggi, avere dei figli, viene considerato una sorta di ostacolo. Frutto anche di pregiudizi e di retaggi del passato, quando va detto, in molte hanno anche approfittato della maternità per mettere in difficoltà i datori di lavoro. Era un’epoca fa, un’epoca in cui in ogni caso, milioni di donne hanno mandato avanti le loro famiglie, lavorando, anche e spesso da sole, senza la presenza di un uomo. Spesso purtroppo, le prime a fare discriminazioni sono datrici di lavoro che preferiscono, a parità di scelta, un uomo invece che una donna “meno disponibile” proprio perchè donna.

Continuano le ingiustizie di genere

E’ “critico” il quadro che emerge dalla ricerca di Save the Children, diffusa alla vigilia della Festa della Mamma, e che riguarda circa sei milioni di madri “equilibriste” che si dividono tra vita familiare e lavorativa, spesso senza supporto e con un carico di cura, aggravato dalla pandemia.
Anche la lieve ripresa economica dello scorso anno è stata caratterizzata da  “ingiustizie di genere”: delle 267.775 trasformazioni contrattuali a tempo indeterminato del primo semestre 2021, solo il 38% riguarda donne. Se si guarda il numero totale di attivazioni contrattuali (sul totale di tutte le attivazioni) nel primo semestre per le donne (poco più di 1,3 milioni), la maggior parte (38,1%) è a tempo determinato; seguono il lavoro stagionale (17,7%), la somministrazione (15,3%) e, solo per ultimo, l’indeterminato (14,5%). A questo va però anche aggiunta una riflessione diversa: è ancora troppo diffusa, e anche nelle giovanissime che si apprestano a entrare nel lavoro, quella concezione secondo la quale, chi pensa a una famiglia felice, non pensa a una donna che lavora. Su questo bisognerebbe lavorare di più nelle scuole, per ricordare quanto anche l’indipendenza economica sia fondamentale. Molte donne scelgono di essere “madri e mogli” mettendo la carriera da parte; troppe donne non hanno un lavoro e questo le condanna anche a restare sposate, e nel peggiore dei casi, anche a essere vittime di violenza.

Sempre più donne lavoratrici costrette alle dimissioni

Degli oltre due milioni di contratti attivati per gli uomini, quasi la metà (il 44,4%) è a tempo determinato, subito seguito dall’indeterminato (il 18%). Il 42,6% delle donne con figli nella fascia d’età 25-54 risulta non occupata, con uno divario rispetto agli uomini di più di 30 punti percentuali. Il dato cambia notevolmente a seconda delle aree del Paese, arrivando a sfiorare il picco del 62,6% nel Mezzogiorno, dal 35,8% al Centro e da un 29,8% al Nord.
Mentre il tasso di occupazione dei padri tende a crescere all’aumentare del numero di figli minorenni presenti nel nucleo, quello delle madri tende a diminuire. Anche i dati sulle convalide delle dimissioni delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri di bambini/e di 0-3 parlano chiaro: su 42.377 casi nel 2020, il 77,4% riguarda donne. Le lavoratrici madri rappresentano il 77,2% (30.911) del complesso delle dimissioni volontarie, a fronte delle 9.110 dei padri. Sul totale delle motivazioni indicate nelle convalide, quella più frequentemente segnalata continua ad essere la difficoltà di conciliazione della vita professionale con le esigenze di cura dei figli.

Questo è un problema che oggi più che mai dovrebbe interessare anche lo stato. Uno stato che non aiuta in generale due genitori che hanno intenzione di costruire una famiglia. Costi proibitivi per asili e scuole private e statali; poche attività pomeridiane per i bambini, poca flessibilità nei contratti di lavoro che dovevano essere sempre più smart, come accade nel resto d’Europa e sono invece sempre più stringenti e sempre meno flessibili. Questo chiaramente è un discorso che vale per entrambi i genitori, perchè se anche un padre avesse la possibilità di avere un contratto di lavoro meno rigido, potrebbe rappresentare la figura familiare di riferimento; pensare ancora oggi che debba essere la donna a rinunciare a tutto, è qualcosa che va fuori da ogni schema di logicità per un mondo che corre troppo veloce e che lascia indietro chi non riesce ad adeguarsi e stare al passo.

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