Brielle Asero, la tiktoker che lamenta le troppe ore di lavoro: “Non vivo più”

Brielle Asero è una nota tiktoker di 21 anni. Vive in New Jersey ed in queste ultime ore è diventata ancora più popolare per via di un video che ha pubblicato sul social e che sta scatenando le polemiche in quanto, molte persone, si trovato decisamente a condividere la sua stessa identica opinione. Brielle, nella clip di Tik Tok si è mostrata in lacrime, con gli occhi gonfi e rossi e ha deciso di sfogarsi pubblicamente. La giovane Asero ha spiegato ai followers di lavorare troppe ore al giorno, per la precisione dalle 9 del mattino fino alle 17 del pomeriggio. Otto ore trascorse in ufficio, secondo Brielle Asero sono una visione professionale antica, trattandosi anche di un lavoro che si svolge tutto in presenza, dunque non in smart working.

Quello che lamenta di più Brielle è il fatto che durante le sue giornate ha poco tempo per dedicarsi a quella che è la sua vita privata. Cosa che in molti hanno condiviso, anche trovandosi in altri Paesi del mondo.

Brielle Asero: le troppe ore di lavoro che ci fanno godere poco la vita privata

Nel video postato, Brielle Asero ha affermato di non avere tempo per fare niente. Dopo aver lavorato torna a casa ma a quel punto non ha abbastanza energie per fare sport e si sente molto stressata. Come se non bastasse, la donna è anche una pendolare che percorre il tragitto dal New Jersey a Manhattan tutti i giorni per recarsi in ufficio. Parliamo di circa due ore di viaggio in totale: “Mi ci vuole un’eternità per arrivare sul luogo di lavoro. Questo vuol dire che quando non sono in viaggio, mi sto preparando per uscire di casa e andare al lavoro e quando ho finito di lavorare mi tocca trascorrere la serata in viaggio per tornare a casa“.

Il racconto di Brielle è stato uno sfogo condiviso da tanti, soprattutto dai più giovani che credono che le troppe ore di lavoro lascino poco spazio alla vita privata, al benessere personale. Non ci godiamo abbastanza la vita perché siamo troppo impegnati a lavorare? Il dilemma resta dunque sempre uno: vivere per lavorare o lavorare per vivere?

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